“Una bicocca con attorno un po’ di orto e di selva…”
Nel 1895 Giovanni Pascoli prese in affitto la casa dei Cardosi-Carrara, costruita intorno alla metà del settecento sul colle di Caprona, nella frazione di Castelvecchio, a circa 5 Km da Barga come dimora di campagna e vi si trasferì con la sorella Maria e il cane Gulì il 15 ottobre; sette anni dopo, nel 1902, il poeta acquistò la casa che diventerà la sua abituale e tranquilla dimora, fino alla morte avvenuta nell’aprile del 1912, nel corso di un periodo della sua vita in cui egli alternò agli impegni di docenza (a Bologna, prima, a Messina fino al 1903 e a Pisa poi e infine, nel 1905 nuovamente a Bologna nella cattedra di letteratura italiana che era stata del Carducci) uno dei più prolifici e felici periodi di creazione poetica e di pubblicazione delle sue opere in versi italiani e latini, degli scritti di poetica, di antologie italiane e latine e di diversi saggi danteschi.
Immersa in un paesaggio di grande suggestione dominato in lontananza dalla Pania, dal monte Forato e dal monte Gragno, la casa ha un ingresso sulla piazzetta e affaccia, attraverso un secondo ingresso con scala a doppia rampa, su un vasto giardino, un’area delimitata da un muro di cinta che giunge fino alla chiesa di San Niccolò, della quale si vede il campanile; il giardino, concepito nella zona più prossima alla casa, come giardino all’italiana con aiuole geometriche e piantumazioni di alberi ornamentali fra i quali spicca per la sua dimensione piuttosto insolita un albero di calicanto, è corredato da una zona destinata a orto, dal vigneto, dal frutteto e dalla limonaia, unendo quindi in sé l’eleganza del giardino e la rusticità dell’area coltivata.
Una siepe compatta delimita, nella zona vicina alla casa, la tomba del cane Gulì, sepolto sotto una colonnina di pietra, che fu donato al poeta dal padre di Antonio De Witt, il primo illustratore della raccolta Myricae. Sotto la cinta della chiusa scorre il Rio dell’Orso la cui voce accompagnava il Pascoli nelle sue passeggiate.
La casa, sviluppata su tre piani, grazie alla meticolosa opera di rispetto quasi sacrale per gli ambienti, gli oggetti, i mobili e le suppellettili a cui la sorella Maria dedicò tutta la sua esistenza fino alla morte nel 1953, ha ancora mantenuto l’aspetto e l’assetto che aveva negli anni in cui vi soggiornò il poeta che ha lasciato in essa indizi significativi dei suoi gusti, delle amicizie, delle frequentazioni che parlano della personalità dell’uomo e non soltanto del letterato e del poeta.
L’arredo, i ricami, le tappezzerie, i ricordi familiari, gli oggetti, numerosissimi, d’affezione, le fotografie che ritraggono soprattutto Giovanni Pascoli sono invece le manifestazioni della personalità della sorella Maria e del suo mondo raccolto intorno alla figura del fratello.
Al piano terra l’appartamento è articolato nell’ingresso, cucina, sala da pranzo e da un piccolo ambiente un tempo studiolo di Maria e attualmente destinato all’archivio; il secondo piano, al quale si accede mediante l’elegante scala in pietra, ha un’ampia sala centrale, lo studio di Giovanni Pascoli, fulcro della distribuzione degli altri ambienti: le tre camere da letto, una delle quali, un tempo destinata a camera degli ospiti accoglie oggi il mobilio della stanza di Bologna dove morì il poeta, e altri due più raccolti ambienti: il salottino di Maria e la biblioteca che si aprono sulla altana, una terrazza coperta da cui si gode dell’ampia e bellissima vista; un piccolo disimpegno unisce lo studio ad un’altra stanza destinata anch’essa a biblioteca.
Attigua alla casa è la cappella sulla cui facciata una lapide riporta i versi tratti dalla poesia Il sepolcro (dalle Odi): Lasciate quell’edera! Ha i capi / fioriti. Fiorisce, fedele, / d’ottobre, e vi vengono l’api / per l’ultimo miele. La cappella è un raccolto e severo ambiente dove è sepolto il poeta e la sorella Maria in un’arca in marmo, opera di Leonardo Bistolfi (Casale Monferrato 1859 – Torino 1930); su di essa è inciso il dittico latino composto dallo stesso Pascoli per la sorella: Quae nihil optasti nisi pacem pace fruaris / una cum maesto candida fratre soror (Tu che non desiderasti altro se non pace, pace tu possa godere insieme con il mesto fratello, candida sorella). Le lunette sono affrescate da Adolfo Balduini (Altopascio 1881 – Barga 1957).